Iniziamo con questo post una serie di interventi a commento delle giornate della Scuola. La prima si è tenuta sabato 7 febbraio ed è stata svolta da Mirko Tavosanis dell’Università di Pisa. Come per tutte le altre, trovate qui il calendario e il programma delle giornate.

Nel corso della giornata, una parte teorica e una pratica si sono intrecciate con continui rimandi a concetti ed esempi concreti.

La traduzione, intesa come passaggio da una lingua ad un’altra, è una conversione tra due sistemi non sempre lineare e automatica che spesso necessita di adattamenti: entra così in gioco la figura indispensabile e insostituibile del traduttore.
Tradurre non è un’azione meccanica bensì creativa, concetto da tenere bene a mente di fronte alla tendenza di base in traduzione, che è quella di proporre un tono medio, normalizzando ciò che è più complesso e richiede sforzo, in termini di tempo ed energia.

Non a caso, “espressività” è stato un termine chiave della giornata, utilizzato per cogliere le differenze tra una traduzione meccanica e una traduzione in cui si riconosce la creatività e l’impronta personale del traduttore, che viene percepita dal lettore e può anche determinare o la riuscita o meno di un fumetto.
L’intervento personale può variare da un minimo a un massimo a seconda dei casi, in una sorta di “spirito di servizio” nei confronti della traduzione.

Raggiungere il destinatario è fondamentale per il traduttore e, anche se il riuscirci resta una questione di intuito, qualche informazione sui livelli di lingua può tornare molto utile.

Nella lingua italiana distinguiamo tre livelli: standard (ufficiale), neostandard (forme di parlato accettate nello scritto meno formale) e substandard (forme d’uso solo orali, non accettate nello scritto).
Nella realtà la situazione è molto più complessa: esistono casi limite, variazioni, passaggi di livello, senza dimenticare le differenze e le sfumature tra italiano e dialetto.

Ma come possiamo trasporre vari livelli e accenti da una lingua a un’altra?
Dobbiamo innanzitutto fare i conti con le differenze delle altre lingue.

L’inglese, per esempio, permette di trascrivere un suono in diversi modi, mentre in italiano ogni suono può essere trascritto in un solo modo, con rare eccezioni.
Questa ricchezza di “espressività ortografica“, presente in inglese su più livelli, è quasi impossibile da rendere in italiano.

Tra i vari tentativi di riproduzione di registro informale e persino del dialetto, merita di essere citato Li’l Abner di Al Capp, che grazie all’inventiva del traduttore Ranieri Carano, riscosse il successo del pubblico, che aveva ignorato le precedenti traduzioni in italiano standard.

In italiano, solitamente la lingua utilizzata nei fumetti è grammaticalmente corretta e altrettanto spesso è molto povera a livello espressivo. In Italia del resto è difficile trovare esempi di riproduzione del parlato: nella narrativa possiamo citare Andrea Camilleri, mentre nel fumetto troviamo Leo Ortolani e Andrea Pazienza, due autori che hanno praticato e praticano con successo il linguaggio comune e colloquiale.

Nella parte della giornata dedicata alla pratica, la prova di traduzione di alcune strisce dall’inglese è stata lo spunto per nuove riflessioni sulle tematiche affrontate.

In conclusione, possiamo dire che nella forma di alto artigianato che è la traduzione, la componente personale è molto forte e non esiste una formula per ottenere buoni risultati. Esiste però un atteggiamento che, attraverso l’uso degli strumenti acquisiti, ci permette ogni volta di inquadrare la situazione e percepire le possibilità di libertà linguistica ricavabile muovendoci tra i vari livelli di lingua.